Gozzi: "Senza Ilva gli extracosti potrebbero raggiungere i 7 milioni di euro l'anno"

venerdì, 28 settembre 2012 15:25:22 (GMT+3)   |  
       

"All'estero non aspettano altro. Ci sono tutti: i primi ad avvantaggiarsi di questa situazione sarebbero naturalmente i produttori europei, ma anche i grandi colossi dei mercati emergenti ne approfitterebbero nonostante l'handicap del cambio dollaro-euro, al momento non vantaggioso per chi acquista". Questo l'allarme lanciato da Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, relativamente all'ipotesi di spegnimento degli altiforni di Taranto.

In un'intervista rilasciata a 'Il Sole 24 Ore', Gozzi spiega che "c'è differenza tra comprare euro su euro a Taranto o al massimo nel resto d'Europa e comprare invece in dollari dai produttori cinesi o dai coreani. Con l'euro debole le importazioni nei mesi scorsi erano calate, ma ora i trasformatori saranno costretti a comprare, con l'aggravio rappresentato dagli oneri degli strumenti finanziari necessari a proteggersi dal rischio di cambio".

Secondo le stime di Federacciai, l'approvvigionamento di acciaio non proveniente dall'Italia genererebbe un extracosto tra i 50 ed i 100 euro la tonnellata, il che significa a livello nazionale 2,5 miliardi di euro o addirittura 3,5 miliardi di euro in caso di uno scenario particolarmente negativo. Inoltre, la perdita della produzione di Taranto determinerebbe un secondo effetto, vale a dire un ulteriore costo di sistema relativo alla riduzione delle esportazioni di acciaio, stimabile tra gli 1,2 e i 2 miliardi a seconda dello scenario congiunturale considerato. La cifra complessiva degli extracosti si collocherebbe quindi tra i 4,5 ed i 7 miliardi di euro all'anno.

Gozzi sottolinea infine che "ci sono altri operatori continentali, per non parlare di quelli dei mercati emergenti, che hanno problemi ambientali molto più gravi di Ilva, azienda che dal punto di vista delle emissioni e degli investimenti ambientali è all'avanguardia in Europa". Secondo il Presidente di Federacciai "bisogna varare al più presto una normativa che garantisca agli industriali italiani delle produzioni di base, che rispettano i limiti di legge, di potere continuare a lavorare. Certo, se si sostituisce il principio del rischio sanitario a quello del rischio ambientale, allora non è più possibile fare industria in questo paese".

Il Sole 24 Ore ricorda che l'eventuale stop alla produzione dell'Ilva di Taranto si tradurrebbe in un 'buco' da 5 milioni di tonnellate di acciaio. Secondo i dati di Federacciai, infatti, nel 2011 a Taranto l'output ha raggiunto 8 milioni di tonnellate (circa l'80% della capacità produttiva), dei quali 3 destinati all'esportazione. L'altro grande produttore italiano di acciai piani, cioè Arvedi, non potrebbe sopperire in larga misura all'assenza della grande acciaieria tarantina in quanto, con una capacità di 2,5 milioni di tonnellate per buona parte già occupata, potrebbe incrementare l'output di circa 500.000 tonnellate: si tratta solo del 10% del volume che si renderebbe necessario. Il resto del mercato verrebbe inevitabilmente soddisfatto dai produttori europei come ArcelorMittal, ThyssenKrupp e Tata Steel Europe e da quelli extracontinentali (russi, cinesi, indiani e coreani).